Places Rash Me di Chase Palmer

T293 è lieta di presentare Places Rash Me di Chase Palmer, terzo progetto per la Chiesa delle Scalze in collaborazione con la Collezione Agovino.
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In questa serie, l’artista sceglie di venerare il potere inglobante della volontà umana. Lo spettatore è sempre invitato a diffidare di ciò che viene rappresentato e di ciò che si vede. Ogni immagine è un’invenzione specifica, ricca di scenari ridicoli e di una superficie ingannevole. La buffoneria umana è senza tempo e il caos, il conflitto e la disfunzione sono solo risultati della natura

Le figure immaginarie rappresentate vogliono sempre qualcosa, che sia ricchezza, efficienza o divertimento, come tutti i personaggi della narrazione drammatica. Gli esseri umani sono bombe, che accendono tutta la loro forza per dominare i loro desideri, e non c’è niente di più potente della collettività.

Una delle opere, Space Invaders, presenta livelli di lavoratori impilati l’uno sull’altro attorno a tavoli, che giocano e assemblano. Alcune figure bevono e mangiano in una paradisiaca indulgenza. Con questo gruppo di persone che cospirano su un gioco d’azzardo, la composizione comunica un’iperattività al limite della nauseante malizia. La forza che unisce questo collettivo eterogeneo è la voglia di arricchirsi rapidamente. Questa scena gerarchica crolla per il peso delle figure ammassate corpo contro corpo. L’artista cerca di riflettere il miraggio moderno di superare i sistemi finanziari tradizionali. Nel soggetto del Giocatore di carte, l’artista rende omaggio alle sue famose rappresentazioni nella storia dell’arte di Caravaggio e George Grosz.

Un’altra opera, Destination Compaction, cattura una scena di traffico umoristicamente intasata. È pieno di auto che volano e si schiantano, guidate da lavoratori intenti nei loro spostamenti giornalieri. Sono passeggeri che rappresentano una moltitudine di esistenze quotidiane disordinate e claustrofobicamente sballottate in scatole di metallo su ruote. L’auto centrale si sta capovolgendo con una moltitudine di rifiuti e cibo spazzatura che si rovesciano sul cruscotto. Il ritmo scintillante del metallo frantumato ricorda le forme dei dipinti futuristi italiani. Con la libertà personalizzata che l’auto rappresenta, c’è ancora un’imprevedibile casualità in ciò che si incontra sulla strada. Palmer indaga la sottile linea di sicurezza in cui il conducente di un veicolo può perdere il controllo e una fila ordinata di auto può diventare un coacervo di rottami.

In Little Divers, l’artista raffigura una fila di figure nude su un ottovolante. Le montagne russe accelerano man mano che si avvicinano alla parte inferiore della composizione e alcuni dei sedili si trasformano in figure contorte. L’immagine crea una doppia azione contrapposta di individui doloranti che desiderano un intrattenimento che rilasci endorfine, mentre vivono monotonamente un’epica corsa sulle montagne russe. Questa scena è un misto tra aldilà, preesistenza fetale e non-esistenza, con la mancanza di luce sullo sfondo nero a significare un vuoto aperto che nega ai suoi abitanti la visibilità e quindi provoca tormento.

Tutte e tre le opere sono liberamente tratte dalla Divina Commedia: Space Invaders rappresenta il Paradiso, Destination Compaction il Purgatorio e Little Divers l’Inferno. Il soggetto è inteso come divertente piuttosto che strettamente religioso o moraleggiante, e gli spettatori sono lasciati a decidere se possono vedere se stessi in questi mondi dipinti pieni di opportunisti, golosi ed eretici.

L’artista si è ispirato alla scala de Le Scalze per esplorare la qualità epica delle composizioni claustrofobiche. Dipingere su larga scala è espressione dell’ambizione e dell’ego di un artista, oltre che intimidatorio. L’artista dipinge in un appartamento di una sola stanza a Brooklyn, quindi anche la convivenza con un quadro così grande è scoraggiante. Tuttavia, dipingere su questa scala è stata una liberazione, che ha permesso all’artista di creare un mondo in cui lo spettatore può quasi entrare.

Palmer non crede che la distopia abbia un’estetica. Al contrario, trova che la bellezza di romanzi distopici come 1984 di Orwell e Brave New World di Huxley stia nelle loro ricche descrizioni di realtà alternative che mancano di realizzazione visiva. Nei regimi autoritari, la cultura valida non esiste e i creativi si sforzano di creare esperienze nuove e arricchite che attirino il pubblico. L’artista ritiene che la vera spazzatura sia costituita da un’estetica blandamente inefficace che non coinvolge o accende gli spettatori, consumata rapidamente e dimenticata come un hot dog stantio alla stazione di servizio.

I dipinti raffigurano un’umanità disordinata che si contorce, si gira e ride maniacalmente in un’ebbrezza disorientata. Diffidano dell’ordine e rifiutano il pensiero sobrio tradizionale, ispirandosi al dadaismo e interessandosi al dramma e all’umorismo. L’artista indaga l’umorismo senza le tradizionali scenografie o battute, utilizzando invenzioni formali modellate a partire da una pratica di disegno dedicata.

Utilizzando la pittura a olio, Palmer si sforza di essere un narratore inaffidabile, unendo energie opposte in composizioni stressate, gonfiate e allo stesso tempo vulnerabili, che lottano per mantenere la propria vitalità. I colori sono costruiti per esplodere e la ripetizione di motivi e schemi crea interconnessione, con figure che a volte riecheggiano e si assomigliano. Sia che appaiano come anonime persone comuni o potenti leader mondiali, esse sono sempre incollate insieme in questa umanità affollata.

Chase Palmer
Places Rash Me
Opening: May 20, 4-7pm
San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo
Salita Pontecorvo 65, Napoli
May 20 – June 10, 2023
for visits and appointments, please contacts +39 0689825589
info@t293.it

A nameless place di Saturno

Sabato 22 ottobre alle ore 11.00 inaugura la mostra personale di Alessandro Saturno (1983) dal titolo A nameless place presso la Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli. La mostra è a cura di Leonardo Regano ed è realizzata sotto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee 2022, con il supporto della Collezione Agovino.
L’intervento di Saturno per la Chiesa di San Giuseppe delle Scalze si configura come un progetto site-specific con il quale l’artista propone una riflessione sul rapporto tra pittura e paesaggio che ruota attorno al mare, come elemento imprescindibile per la cultura partenopea.

Metal Novel: la mostra di Vincenzo Rusciano

ARTE CONTEMPORANEA

di Maria Gaia Redavid

Intervista tratta dal sito Exibart

Si intitola “Metal Novel” l’ultima esposzione di Vincenzo Rusciano negli spazi della Chiesa delle Scalze, di Napoli: abbiamo raggiunto l’artista per farcene raccontare le suggestioni

Lo scorso sabato 28 maggio è stata inaugurata la nuova personale dell’artista napoletano Vincenzo Rusciano. La mostra, dal titolo “Metal Novel”, è allestita presso lo straordinario spazio della Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, a Napoli, e sarà visibile fino al prossimo 4 giugno. L’esposizione è realizzata sotto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee 2022 ed è accompagnata da un catalogo con testo critico curato dalla storica dell’arte Alessandra Troncone ed edito da Iemme edizioni. Abbiamo intervistato l’artista per conoscere tutti i particolari di “Metal Novel”.

                                            

Quando nasce l’idea di questa mostra e perché il titolo “Metal Novel”? In che modo, infine, il suggestivo contesto della chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, partecipa all’esposizione e vi dialoga?

Non è la prima volta che come artista mi confronto con uno spazio come questo: nel 2014 ho realizzato una mostra personale site specific, il cui titolo era “Sponda”, nella Chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, che è un altro gioiello del patrimonio artistico del centro storico della nostra città, chiesa con la quale avevo instaurato un dialogo intimo, realizzando un progetto che narrava di statue e tessere di mosaici antichi, frammenti del nostro patrimonio che nella mia visione si salvano da un possibile oblio per consegnarsi alla memoria.

Ripensando a quel progetto è immediato ritrovare una continuità con le opere presentate oggi alla Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo: il richiamo al bene archeologico, ai temi del recupero e del restauro, che si intrecciano con la metafora della nostra città come cantiere. E le opere presenti oggi in questa mostra dal titolo, appunto, “Metal Novel”, rimarcano questa relazione. Ed è così che ha preso vita “questo romanzo di metallo”: «Come note su un pentagramma dalla lucentezza metallica – scrive Alessandra Troncone nel testo critico che accompagna la mostra – come segni su uno spartito che si sviluppa nello spazio, i suoi elementi si dispongono a raccontare una storia materiale e immateriale». La mostra, mi fa piacere ricordare, è realizzata sotto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee 2022 ed è accompagnata da un catalogo che sarà a presentato nelle prossime settimane presso la Galleria Nicola Pedana, a Caserta.

Ogni città è un grande cantiere. Quali sono le peculiarità dello stratificato cantiere napoletano?

Certamente che per la sua ricchezza è unica al mondo. Una profonda stratificazione, quella di Napoli, che è sociale e culturale ancor prima che geologica, artistica e architettonica. Una fusione di centinaia di civiltà, fino ad arrivare anche all’abuso contemporaneo, che forse non si sono mai del tutto sovrapposte ma hanno scelto di mescolarsi, di aggiungere ciascuno un tassello a quel che già c’era.

È possibile declinare il termine precarietà, legato all’essenza stessa del cantiere, con una connotazione positiva?Volendo essere lontano da prese di posizioni preconcette, forse abbondanza e frammentarietà in certi casi non sono scindibili, la tua è una domanda che presuppone un inevitabile rispecchiamento tra condizione della società e stato dell’arte. Una miscela particolare che si è venuta a creare nei secoli in questa città

Nella mostra vediamo esposte tre strutture, che fungono da cornici ad altrettanti racconti. Di che cornici si tratta?

Sono visioni sullo stato di certe cose, in cui tutto fluttua in una condizione di precarietà generale (anche di condizione sociale) ma dove forse tutto sommato è conservata una certa dignità

Il miracoloso. Mostra di Isabella Ducrot alle Scalze

T293 e Collezione Agovino presentano ‘Il Miracoloso’, personale di Isabella Ducrot (1931, Napoli) con opere site specific per la chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, a Napoli.
La mostra è dedicata al «“possibile miracoloso” che oggi ci riguarda», ha dichiarato l’artista, e i suoi lavori si collocano dove un tempo erano presenti dipinti di Mattia Preti e Luca Giordano, i vuoti lasciati dal tempo vengono riempiti «con monumentali opere su carta, alte oltrequattro metri e lunghe due, raffiguranti tre avvenimenti narrati nel Nuovo Testamento: L’Annunciazione, L’Adorazione dei Re Magi e La Discesa dello Spirito Santo», ha spiegato la galleria.

«Grazie ad una proposta di Paola Guadagnino Marco Altavilla – ha ricordato Isabella Ducrot – lo scorso agosto sono partita per una veloce gita a Napoli, si trattava di visitare la Chiesa San Giuseppe delle Scalze nei pressi del Museo Archeologico. Lo stato attuale dell’edificio è ciò che è rimasto in seguito al terremoto di una cinquantina di anni fa, una splendida testimonianza barocca. Ora questo monumento, persa la sua funzione di luogo sacro, rivive un nuovo destino secolare e offre ospitalità a mostre d’arte, concerti, convegni. […]  Poter frequentare quel luogo e intervenire nel suo portamento favoloso mi sembrò un’occasione unica. Già acconsentivo con emozione ad adeguarmi alla sua magniloquenza, a confermarne l’esagerazione, ad osare ed avvicinarmi alla sua contenuta sfrenatezza. Mi domandavo se potevo azzardarmi a ricoprire le mura denudate che avevano ospitato le immense pale d’altare di Mattia Preti e di Luca Giordano».

               

Per l’inaugurazione, la chiesa ha ospitato un concerto del compositore classico e arrangiatore Igor Caiazza, che, accompagnato da altri due musicisti, ha eseguito una serie di brani ispirati a Isabella Ducrot.

La galleria T293 ci ha raccontato il progetto espositivo, che ha ricevuto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee di Napoli.

Mostra di Mateusz Choróbski e Namsal Siedlecki alle Scalze

La Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo a Napoli ospita una mostra che coinvolge due tra le più interessanti presenze del panorama creativo contemporaneo, Mateusz Choróbski (Radomsko, 1987) e Namsal Siedlecki (Greenfield, 1986).

La mostra, a cura di Pier Paolo Pancotto, è aperta al pubblico da domenica 9 a domenica 30 maggio 2021 ed è promossa dalla Collezione Agovino, Napoli.

L’esposizione pone in dialogo, per la prima volta in forma individuale (dopo un primo incontro avvenuto in occasione della mostra collettiva #VillaMedicimylove, Académie de France à Rome, Villa Medici, 2019) due interpreti differenti per storia, generazione e cultura, associati da una comune sensibilità verso i temi della storia, del tempo e della materia. Orientamento esplicitato da ciascuno di essi con modalità proprie legate, naturalmente, alla loro vicenda personale e professionale ma in grado di presentare inattesi, a volte sorprendenti, punti di convergenza.

Infatti, se Mateusz Choróbski riflette su suddette tematiche attraverso un variegato insieme di modalità espressive (scultura, video, performance…) Namsal Siedlecki lo fa affidandosi soprattutto al linguaggio plastico.

L’esposizione si delinea, pertanto, come una sorta di colloquio virtuale su temi condivisi (per quanto analizzati da differenti punti di vista) tra Choróbski e Siedlecki, in particolare quello del sacro, rivisitato secondo la propria specifica esperienza e considerato, spesso, in relazione a istanze di carattere storico e sociale. Tale dialogo, si concretizza sotto forma di un’unica, grande installazione ideata per gli spazi barocchi della Chiesa di San Giuseppe delle Scalze, progettata da Cosimo Fanzago nel XVII secolo, e composta di opere recenti, molte delle quali concepite per l’occasione. In particolare, Choróbski (il cui esordio personale presso un’istituzione in Italia è avvenuto nel 2019 presso La Fondazione Nicola Del Roscio | La Fondazione, Roma) elabora una propria, originale lettura della poetica barocca confrontandosi sia col tema della luce (come testimoniano le varie opere luminose realizzate per la mostra – Rood Screen 1-3, 2021, ad esempio – ricomponendo e rivitalizzando, come di consueto nella sua pratica, apparati elettrici in disuso) che con quello della scultura (le colonne tortili di berniniana memoria formate da groszy polacchi sovrapposti rappresentate da 1056.24/2, 2021 ne sono un esempio). Siedlecki, invece, prosegue la propria riflessione sul dualismo vita / morte e i vari aspetti attraverso cui esso può esplicitarsi: quello della rigenerazione (la fusione in alluminio di un otre – bottiglia d’acqua primordiale – posta sulla sagoma disidratata di un cactus – originariamente in grado di custodire una propria riserva idrica –), del sacrificio (lo scambio di materia che avviene tra anodo e catodo nella vasca galvanica di Viandante, 2021), della memoria (Limes, 2021: le ceneri di un lupo solidificate nel cristallo), del rito (Scalze, 2021: il calco in zinco dei piedi dell’artista evoca le estremità del San Pietro in bronzo posto nell’omonima basilica romana sfiorate dai fedeli in forma di preghiera). Così, attraverso l’intervento di Choróbski e Siedlecki, la Chiesa delle Scalze rigenera idealmente le proprie funzioni originali, colmandosi di un’atmosfera densa di spiritualità e di richiami ad una rinnovata dimensione mistica e religiosa.

La Collezione Agovino, Napoli, desidera ringraziare gli artisti e tutti coloro i quali con il loro generoso contributo hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto; in particolar modo: Francesca Blandino; Paolo Caravello; Eduardo Secci, Firenze; Istituto Polacco, Roma; Ania Jagiello; Cecilia Lanzarini; Mauro Nicoletti; Magazzino, Roma; Martina Margioni; Davide Pellicciari; Sant’Alfonso B&B, Napoli; Carlotta Spinelli. Un ringraziamento speciale va al Coordinamento Le Scalze per la disponibilità all’uso dello spazio.

Mateusz Choróbski (Radomsko, 1987; vive e lavora a Varsavia). Mostre personali (selezione): La Fondazione, Roma (2019); Contemporary Art Center Labirynt, Lublin (2019); Wschód, Warsaw (2019); Neue Alte Brücke, Frankfurt & Union Pacific, London & Wschód, Warsaw (2018); Les Bains Douches, Alençon (2017); Kronika Centre for Contemporary Art, Bytom (2016); Contemporary Art Center Arsenał, Białystok (2015); Another Vacant Space, Berlin (2013). Mostre collettive (selezione): Travellers, City Gallery, Gdansk (2019); Spoilage: Narrating what remains, SALTS, Basel (2019); #VillaMedicimylove, Art Club #27, Villa Medici, Rome (2019); Autogestión / When The World Breakes in II, Fundació Joan Miró, Barcelona (2017); Manifesta 11, Zurich (2016); Nice to meet, TRAFO Center For Contemporary Art, Szczecin (2016); Nesting, Asymetria Fundation, Warsaw (2015); No Yawning, New Theatre, Warsaw (2014); The Archive Project, Another Vacant Space, Berlin (2014); Spokojna Tour Now, MOCAK, Kraków (2013); Cohesion, New Theater, Warsaw (2013); Curators’ Network, MOCAK, Kraków (2012); By Own Measure II, Contemporary Museum, Wrocław (2011).

Namsal Siedlecki (Greenfield, 1986; vive e lavora a Seggiano). Mostre personali (selezione): Art Club #31, Villa Medici, Roma (2020); Fondazione Pastificio Cerere, Roma (2020); Manifattura Tabacchi, Firenze (2020); Patan Museum, Kathmandu (2020); In Extenso, Clermont-Ferrand, Francia (2019). Mostre collettive (selezione): #80| #90 & more, La Fondazione, Roma (2020); Della materia spirituale dell’arte, Maxxi, Roma (2019); #80| #90, Villa Medici, Roma (2019); La febbre, Palazzo Mazzarino, Palermo (2018); TU35 expanded, Centro Pecci per l’arte contemporanea, Prato (2017); Trigger party, Marsèlleria, Milano (2016); Cosi accade, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2014).

C’è qualcuno lì dentro? Sesto viaggio per immagini e parole oltre l’autismo

Sesto viaggio per immagini e parole oltre l’autismo. Siamo felici di presentare l’esito dei laboratori mensili di pittura collettiva condotti da Caroline Peyron in mostra nella grande navata delle Scalze. Questo laboratorio, giunto al suo sesto anno, fu inizialmente creato per ragazzi autistici adulti ma nel corso del tempo ha via via incorporato in modo armonico e del tutto spontaneo amici, curiosi, visitatori occasionali in un bizzarro processo di inclusione al contrario
I risultati sono sotto i vostri occhi. Venite a visitare la nostra mostra nei giorni 9 e 10 novembre alle Scalze
Durante la mostra sarà possibile partecipare liberamente a 2 laboratori con Caroline
Il primo sabato alle ore 19:00., il secondo domenica alle ore 17.00
Orari mostra – inaugurazione h. 17.00 fino alle 21.30. Domenica h. 11.00/13.30 e16/20
Info 3284833205
3337525470
3336935338

Evgeny Antufiev Dead Nations: Golden Age Version

a cura di Marina Dacci
Opening e performance sabato 21 settembre 2019 | ore 12.00

Performance ore 13.00 21 settembre – 25 ottobre 2019 Chiesa di San Giuseppe Delle Scalze
La chiesa di San Giuseppe delle Scalze accoglie le opere di Evgeny Antufiev nel mistero della sua penombra e delle sue ferite. Il progetto è un inventario, una spremitura della nostra identità, una narrazione per immagini di valori, fragilità, desiderio di potere e di immortalità che hanno caratterizzato l’andamento della nostra storia. … Antufiev lascia tracce, una sorta di “eredità” di un’epoca finita o che sta per finire, ma che ha l’ambizione di rivolgersi a una qualche posterità, spinta da un horror vacui per paura di scomparire, di estinguersi.

L’artista si confronta con un’architettura religiosa; si interroga sull’idea di chiesa intesa non solo come luogo di preghiera, ma come depositaria di un racconto della storia umana, dell’essenza dell’umano: pregna di segni, di segreti da scoprire. Declina lo spazio come una capsula del tempo, una navicella in cui chi giunge dal futuro rinviene artefatti e oggetti simbolici che testimoniano ciò che l’uomo ha prodotto e ha voluto lasciare nel suo passaggio. L’immortalità nella memoria è cosa nota: qui Antico e Futuribile si mescolano in una sorta di game in cui aleggia il mistero.

Tutta la mostra è un racconto aperto a interpretazioni multiple che scardinano la dimensione spazio temporale in cui l’energia si sviluppa in un processo circolare grazie anche a una commistione formale tra il pop e la rilettura della cultura classica.

Al centro della navata una tenda, un tempio nel tempio, che accoglie la scacchiera del destino realizzata in ceramica e bronzo e un mosaico incompiuto con oggetti di scavo: reperti di un’antica civiltà. La tenda è segnata sulle pareti esterne da graffiti che richiamano la relazione tra permanenza e impermanenza.

Nei pressi dell’abside, è sospesa una gigantesca maschera d’oro, affiancata da due guerrieri: immagini illusorie che si presentano con prepotenza fluttuando in uno spazio dal tetto squarciato. Mistero sul futuro o riflessione amara sul presente?

Nella mostra la presenza potente dell’oro rimanda al suo valore simbolico e alla sacralità dell’immagine divina, ma anche ad un’irrefrenabile ricerca umana del potere e del denaro che spesso sono stati causa di declino e caduta nel corso della storia e coazione al consumo in quella attuale. Nel transetto e nelle nicchie laterali sono collocati vasi in ceramica di grande formato su cui sono inscritti segni e figure che riconducono al tema/desiderio di immortalità e due vetrine; la prima accoglie piccole fusioni di figure immaginifiche della nostra mitologia (o forse superfetazioni biologiche di cui siamo gli artefici?), la seconda ospita fusioni di forma esagonale come celle di un alveare. L’esagono, dal significato specifico nella geometria sacra delle antiche culture, è anche la forma dell’esagono solare: l’impronta magnetica del sole il suo ritmo che ha dato vita e dà vita al nostro universo.

Il colore dorato si ripresenta in molte opere: una parete della chiesa è trattata come una quinta teatrale; in altri spazi e pertugi dell’edificio sono collocati piccoli fiori, farfalle, uccelli, a testimoniare la costante tensione umana per una fusione col mondo naturale e la sua ambivalente complessità.

Infine un’opera ripropone come in un video game l’iconografia degli oggetti presenti nella chiesa: uno sguardo sul reale mediato dalla tecnologia, uno sguardo che, come in una science fiction, osserva dall’esterno la nostra storia passata e presente con gli occhi del futuro.

Durante l’inaugurazione dalla balconata della chiesa sarà eseguito un brano per sola voce composto dall’artista. Coriandoli dorati, sparati al termine dell’esecuzione canora, resteranno depositati sul pavimento della navata: frammenti di una festa consumata nel lusso di nazioni al declino.
Marina Dacci
La mostra ha ricevuto il matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee / museo MADRE di Napoli.
Si ringraziano tutte le associazioni che formano il coordinamento Le Scalze per la disponibilità all’uso dello spazio e per la collaborazione.

Evgeny Antufiev (Kyzyl, Tuva, Russia, 1986) vive e lavora a Mosca.
Dopo gli studi all’Institute of Contemporary Art (ICA) di Mosca, nel 2009 vince il Kandinsky Prize nella categoria “The young artist. Project of the Year”.
Nel 2019 è stato invitato a partecipare alla 5° edizione della Biennale degli Urali e ha preso parte alla mostra collettiva Jeunes artistes en Europe – Les métamorphoses presso la Fondazione Cartier di Parigi. Nel 2018 ha partecipato a Manifesta 12, a Palermo, con When art became part of the landscape. Chapter I, un progetto speciale per il Museo Salinas a cura di Marina Dacci e Giusi Diana. Successivamente, sempre nello stesso anno, ha realizzato una personale, When art became part of the landscape: part 3, presso il Multimedia Art Museum di Mosca e una bi-personale al Konekov Museum di Mosca. Nel corso del 2017 ha esposto al MHKA – Museum of Contemporary Art di Anversa, che ha acquisito i lavori, al MOSTYN Museum in Inghilterra, in collaborazione con la Collezione Maramotti e z2o Sara Zanin Gallery e alla Garage Triennale of Contemporary Art al Garage Museum di Mosca. Nel 2016 è stato invitato da Christian Jankowski a partecipare a Manifesta 11 con un progetto speciale. Nello stesso anno due suoi lavori sono stati battuti all’asta presso Phillips London e a settembre 2016 ha realizzato la performance presso la Whitechapel di Londra nella cornice di Cabaret Kultura With V-A-C Live. I suoi progetti sono stati presentati presso la z2o Sara Zanin Gallery di Roma 2015 e 2017, al MMOMA di Mosca 2015. Inoltre ha esposto con mostre personali alla Collezione Maramotti Reggio Emilia (2013) e al Multimedia Art Museum di Mosca (2014) ed ha partecipato a numerose mostre collettive in luoghi prestigiosi, tra cui il New Museum, New York (2011) e il Palais de Tokyo, Parigi (2012).

I suoi lavori sono presenti in importanti musei e collezioni:
TATE Modern, Londra; Collezione Maramotti, Reggio Emilia; MHKA – Museum of Contemporary Art, Anversa, Belgio; Collezione Agovino, Napoli; Collezione De Iorio, Trento; Jean-Pierre Rammant Collection, Belgio; Vittorio Gaddi Collection, Lucca, Nomas Foundation, Roma.

Divining Triptychs: Printmaking, Dance, and Poetry Across Millennia: works by Robert Woods, Lucinda Weaver, and Alan Bern

Live performance:
Giovedì 22 Novembre ore 18:30
Le Scalze – Chiesa di San Giuseppe delle Scalze – Salita Pontecorvo, 65. Napoli

Le Scalze ospitano la performance e la mostra multimediale che riunisce i lavori di Alan Bern – poeta e storyteller, Lucinda Weaver – coreografa e danzatrice, Robert Woods – artista e fine stampatore. Bern, Weaver e Woods da tempo lavorano lungo linee parallele tessendo insieme le loro opere in collaborazioni pensate per luoghi specifici. Woods e Bern hanno creato e condotto insieme per quarant’anni Lines & Faces (linesandfaces.com) un’edizione di preziosa stampa d’arte. Weaver – che ha ballato con la Margaret Jenkins Dance Company – ha co-creato performance di danza e poesia con Bern per 15 anni, unendo le due arti sotto il titolo PACES: dance & poetry fit to the space. La performance napoletana del 22 novembre vede l’allestimento di poesia e danza di Bern e Weaver affiancata dalle stampe d’arte di Lines & Faces (linesandfaces.com) con le illustrazioni di Woods. Al centro dell’evento vi sono le traduzioni da Dante di Bern e il suo poema “Dialogo”, un drammatico scambio tra Ildegarda di Bingen e Francesco D’Assisi.    

 

BIOGRAFIE:

Lucinda Weaver si è formata come danzatrice e ha studiato danza, con David Wood, presso l’Università della California a Berkeley dove ha incontrato Margaret Jenkins che la ha invitata a essere co-fondatrice della Margaret Jenkins Dance Company in San Francisco. Ha poi vissuto in Europa dove ha lavorato come danzatrice solista e coreografa. Al momento è docente ospite presso la Teatro Dimitri Accademia, università svizzera di teatro movimento.

Robert Woods si è formato come maestro di disegno, incisione e artigiano stampatore all’Università della California a Santa Barbara e ha lavorato per oltre 30 anni presso la Madison Street Press di Oakland. E’ pittore, scultore, incisore e tipografo d’arte.

Alan Bern è stato a lungo bibliotecario per bambini – ora è in pensione – alla Berkeley Public Library e ha lavorato per 25 anni presso le biblioteche pubbliche del territorio della baia di San Francisco. Ha pubblicato due raccolte di poesie per la Fithian Press: No no the saddest (2004) e Waterwalking in Berkeley (2007). Un terzo volume –  Greater distance and other poems (2015) – è stato curato per le edizioni d’arte da lui fondate Lines & Faces, con le illustrazioni di Robert Woods, linesandfaces.com. Alan è anche traduttore di poesie dall’Italiano. Performer, lavora con Lucinda Weaver in PACES: dance & poetry fit to the space e con i musicisti di Composing Together, http://composingtogether.org/workshops/48-my-words-my-music.

 

 

Cave Canem. Mostra di Jota Castro

27 ottobre – 26 novembre 2018

Sabato 27 ottobre 2018
ore 10.00 – Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo
ore 12.00 – Castel Sant’Elmo

Sabato 27 ottobre 2018, a Castel San’Elmo si inaugura l’ultima tappa del progetto di Jota Castro a Napoli, realizzato dalla Galleria Umberto Di Marino, dal 25 al 27 ottobre, in diverse sedi espositive: Galleria Umberto Di Marino, Ipogeo di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, Riot Studio, Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo e Castel Sant’Elmo, alternando opere fondamentali per il percorso dell’artista a nuove produzioni.

Jota Castro continua a sviluppare le sue note a margine sulla recente storia europea, stavolta immergendosi nel cuore della città che considera come uno straordinario laboratorio sociale, per attivare punti di vista differenti rispetto alle conflittualità che animano da più parti la società contemporanea. Rileggere alcuni dei lavori alla luce dei luoghi che li ospitano significa, infatti, avvicinare la riflessione su questioni cruciali del nostro tempo alla quotidianità di chi abita il territorio, invertendo il linguaggio brutale che recentemente connota il dibattito politico con lo spiazzamento che il lavoro dell’artista è stato sempre in grado di provocare nel pubblico. La ricerca maturata durante tutto l’arco temporale della collaborazione con la galleria, infatti, si è strutturata in una coerente analisi socio-politica e culturale della crisi, partendo innanzitutto dall’evoluzione dell’idea stessa d’Europa, prima ancora che delle sue istituzioni.

I temi delle migrazioni, della chiusura dei confini e dell’avvento delle politiche nazionalistiche, a seguito delle pressioni economico-fiscali e della disgregazione culturale, sono stati individuati negli anni da Jota Castro come campanelli d’allarme per il doloroso svuotamento di significato del sogno di una politica transnazionale, garante dei diritti umani e civili, che tuttavia continua a mantenere il suo fascino ideologico.

Da un paesaggio cupo, di vecchi fasti ormai posticci e bellezza deturpata, il progetto di questa esposizione riparte, fornendo nuove cornici interpretative ai fenomeni presi in esame. I lavori site-specific si fanno messaggeri di una riflessione che offre uno spazio ancora possibile d’immaginazione, in cui tentare di ricucire questa ferita collettiva e ridare sostanza e concretezza a ciò che rimane della nostra storia comune.

I temi della ricerca dell’artista si sviluppano nelle diverse sedi: alla Galleria Umberto Di Marino protagonista è la storia della globalizzazione del XXI secolo; nell’Ipogeo del Purgatorio ad Arco, il rischio per le giovani promesse di essere oppresse dal passato nella ricerca dei propri spazi di libertà e d’immaginazione; nelle opere al Riot Studio le ferite che restano impresse nella coscienza con un invito a cercare nuove soluzioni. Sentimenti simili animano le installazioni presenti nella Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, dove il gesto di sporgersi a guardare il futuro in una culla e ritrovare il proprio volto, come in Leche y Ceniza (2008), responsabilizza nei confronti del mondo che stiamo lasciando alle nuove generazioni, drammaticamente segnato dai confini che ci auto infliggiamo (Borders, 2006), dai rispettivi dogmatismi con cui affrontiamo il dibattito sulle conseguenze dei cambiamenti climatici (Kerigma, 2010, già esposta al Museo MADRE nella collettiva Trasparenze), dai pregiudizi che accompagnano l’incontro con nuove culture (Energy, 2006). La preoccupazione dell’artista si sintetizza allora in un gesto lirico estremo, che tenta di ricucire una crepa con l’oro, materiale simbolo della storia del colonialismo, senza riuscirci ancora fino in fondo in Is it getting better? (2018).

I lavori esposti al Castel Sant’Elmo, cercano quindi di scardinare gli immaginari negativi ormai legati al tema del viaggio, come evidente nel festone di manette che si staglia contro il paesaggio cittadino in Possa la tua luce essere eterna e il tuo dolore transitorio (2018) e in Because the life (2008) con i volti contratti e accartocciati di quanti sono partiti motivati dalla speranza. Jota Castro recupera la dimensione simbolica dell’attraversamento con il blu Mediterraneo e il rosso sangue di Atardeceres rojos e Hope and blame (2018) nelle acquasantiere, mentre cerca ossessivamente di rammendare i resti della bandiera europea fino a quando non si trasforma in un unico tappeto di spille da balia (Jugaad, 2013-2018).Infine, affida il sogno di un lieto approdo alle mani delle decine di persone che hanno piegato le barchette di carta de La Niña, la Pinta e la Santa Maria (2009-2018, installazione esposta anche alla 17a Biennale di Sidney) un invito a recuperare una condizione ideale d’innocenza da portare con sé nel nuovo mondo che ci si accinge a costruire.

Il percorso si è aperto il 25 ottobre, alla Galleria Umberto Di Marino, con la granitica solidità dell’acciaio, protagonista della storia della globalizzazione del XXI secolo: Chi non si indigna della situazione in cui ci troviamo è un pezzo di merda (2018) pone l’attenzione sull’errata convinzione di aver superato, attraverso la tecnologia, la necessità di risorse materiali, le quali restano comunque alla base del nuovo colonialismo. Le false impressioni sono presenti anche nelle tracce di una storica performance al Palais de Tokyo, Discrimination day (2005), in cui venivano ostacolati durante l’ingresso al museo tutti i visitatori che non avevano mai sperimentato una condizione di discriminazione. In Enjoy your travel (2006), lavoro site-specific realizzato per una precedente mostra e riallestito in questa occasione per l’urgenza dei suoi contenuti, il volo immaginario sulla pista che termina fuori dalla finestra per scampare a questa miopia politica e sociale viene preceduto dall’atto di rompere con il passato attraverso Breaking Icons (2004-2018) ovvero le icone che hanno fortemente caratterizzato l’identità europea nel bene e nel male.

Durante la seconda giornata di apertura, il 26 ottobre, ricorrono considerazioni simili nello spazio dell’Ipogeo del Purgatorio ad Arco, dove 12 farfalle, come le 12 stelle della bandiera europea, vengono rappresentate nella loro fragile precarietà, schiacciate da massi vulcanici provenienti dal Vesuvio. Refricare cicatricem (2018) è un grido rivolto alle giovani promesse che rischiano di essere oppresse dal passato nella ricerca dei propri spazi di libertà e d’immaginazione. L’installazione è introdotta dal ritmo convulso di Someone like me (2018), il numero di vite umane perse nel Mediterraneo negli ultimi cinque anni, destinato purtroppo a salire incessantemente.

Ferite che restano impresse nella coscienza comune come tagli in una bandiera, generatrici di mostri e di paure sintetizzati nello spazio del Riot Studio da Would I lie to you? (2018), due occhi terrorizzati che sbucano dalle assi di legno del pavimento. Uno sguardo privato di ogni controllo sul proprio futuro, nella cui impotenza ciascuno può in parte riconoscersi, passando in rassegna le piccole pesantissime tessere marmoree che compongono il metro di problemi di Panem et Circenses (2011). Ancora una volta l’artista invita a cercare nuove soluzioni, mandando al macero il peso della tradizione come in Biblioteca 01 (2008), che raccoglie brandelli di volumi cardine della storia napoletana e dell’identità mediterranea.

Jota Castro è nato nel 1965 a Lima, in Perù, vive e lavora a Bruxelles, in Belgio
Jota Castro è un artista e un curatore. Ha esposto al Palais de Tokyo, Parigi, Kiasma Helsinki, alla Biennale di Venezia e alla Biennale di Gwangju, dove ha ricevuto il Gran Premio della Biennale nel 2004. Ha curato il “Pabellon de la Urgencia” per la 53 a e 55a Biennale di Venezia e nel 2011 Dublin Contemporary.
Ha esposto alla Biennale di Sydney, Uplands Gallery e Y3K Art Center, Melbourne, Contemporary Art Museum Santiago del Cile, Josee Bienvenu Gallery, New York, Barbara Thumm Gallery, Berlino, Jumex Collection, Messico, Fondazione Helga de Alvear, Madrid, Galleria Massimo Minini, Brescia, Italia.
Tre sono le mostre personali che Jota Castro ha realizzato alla Galleria Umberto Di Marino: Enjoy your travel nel 2006, Memento mori nel 2011, Gemütlichkeit nel 2013.