Ritorniamo a discutere con i Dialoghi sul Presente

Partecipa anche tu alla prossima conversazione organizzata dal Forum Tarsia e dalle Scalze che si svolgerà venerdì 20 maggio 2022 alle ore 17.30 presso lo Scugnizzo Liberato – Salita Pontecorvo 46

“Entrare in dialogo significa superare la soglia dello specchio, insegnare a imparare ad arricchirsi della diversità dell’altro. A differenza dei seminari accademici, dei dibattiti pubblici o delle chiacchiere partigiane, nel dialogo non ci sono perdenti, ma solo vincitori…il dialogo non è un caffè istantaneo, non dà effetti immediati, perché è pazienza, perseveranza, profondità.” Un gruppo di cittadine e cittadini napoletani si riunisce ogni tre settimane, cercando di mettere in pratica questo insegnamento del grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, discutendo, a partire anche da posizioni lontane, delle principali questioni del nostro tempo, quali la pandemia, la guerra, la globalizzazione. Sempre con pazienza e rispetto reciproco. Alla ricerca di una possibile ecologia della comunicazione e di nuove forme di vita a venire.

Dialoghi sul presente: discutere per capire

“Non si discute per aver ragione, ma per capire”. E’ questa la convinzione, mutuata dal grande scrittore argentino Jorge Luis Borges, che ha spinto in questi anni un gruppo di cittadine e cittadini, di diverso orientamento politico e culturale, a riunirsi periodicamente, per discutere insieme dei principali problemi del nostro tempo, in un confronto civile in cui le ragioni dell’altro vengano sempre rispettate e tenute nella giusta considerazione. Compito oltremodo difficile dopo anni di emergenza continua, di guerre dichiarate, prima contro l’epidemia, e ora di fatto contro una nazione straniera; guerre che inevitabilmente hanno determinato l’appannamento di quel “tarlo del dubbio” che è lievito necessario di ogni riflessione critica che non deve rinunciare, tra l’altro, al contributo determinante che la grande cultura, filosofica sociologica letteraria psicoanalitica antropologica economica, può ancora dare alla comprensione del nostro difficile e a volte incomprensibile presente.
La prossima conversazione organizzata dal Forum Tarsia e dalle Scalze si svolgerà venerdì 29 aprile 2022 alle ore 17.30
Presso lo Scugnizzo Liberato – Salita Pontecorvo 4629

Dialoghi sul presente: pandemia e democrazia

E’ possibile discutere dei principali problemi del nostro tempo, evitando sia lo specialismo accademico, che il più delle volte lascia poco spazio al confronto con i non accademici, sia la chiacchiera da “Bar Sport” o da Talk Show? Ma soprattutto: è possibile, evadere dalla asfissiante separatezza dei social media, che ci hanno “imprigionato” in anguste echo chambers, costringendoci a sostituire all’esercizio del pensiero sparuti cinguettii e tristi graduatorie di “like”?  E’ possibile ritornare ad un confronto civile in cui le ragioni dell’altro vengano tenute nella giusta considerazione e non dileggiate o oscurate, come sempre più spesso sta accadendo nel nostro dibattito pubblico? Senza dimenticare che ogni confronto, se vuole essere realmente produttivo, non deve rinunciare al contributo determinante che la grande cultura, filosofica sociologica letteraria psicoanalitica antropologica economica, può ancora dare alla comprensione del nostro difficile e a volte incomprensibile presente.

Dopo l’interruzione dovuta alla pandemia riprendono le “Conversazioni filosofiche per tutti” che cambiano nome e sede. I “Dialoghi sul presente”, a cura del Forum Tarsia e delle Scalze si traferiscono  allo Scugnizzo Liberato alla Salita Pontecorvo 46, dove sarà possibile utilizzare uno spazio che garantisce le necessarie distanze di sicurezza.

Il primo incontro avrà luogo mercoledì 10 novembre alle 17.30 e avrà come tema “Pandemia e democrazia”.

Alcuni cittadini, di diverso orientamento politico e culturale, insieme a tutti coloro che vorranno partecipare alla riunione, si interrogheranno sugli effetti che la pandemia e le misure di restrizione possono avere sulla tenuta democratica dei governi occidentali. Esiste il rischio che il protrarsi delle misure emergenziali e l’annunciata previsione di nuove epidemie in arrivo finiscano con l’intaccare il delicato equilibrio su cui si basano le nostre democrazie, rafforzando in maniera preponderante l’elemento “immunitario” rispetto a quello “comunitario”? O, più ottimisticamente, alla fine della pandemia torneremo al mondo esistente precedentemente, senza cambiamenti di rilievo nella nostra “costituzione materiale”? E chi ha criticato gli italiani, disposti a sacrificare tutto in obbedienza alle decisioni governative, non ha forse dimenticato la più elementare delle verità e il più basilare dei diritti: quello che spinge l’uomo in prima istanza a lottare per la propria sopravvivenza?

Che fine ha fatto il futuro?

 

Sabato 19 ottobre alle ore 18.00 il Forum Tarsia, dopo la pausa estiva, riprende alle Scalze, Salita Pontecorvo 65, un nuovo ciclo di “Conversazioni filosofiche per tutti”, giunte al terzo anno di programmazione. Il primo incontro avrà come tema “Che fine ha fatto il futuro?”.
La domanda nasce dalla forte suggestione provocata dal recente movimento degli studenti contro il cambiamento climatico “Friday for future”, che ha portato l’opinione pubblica a riflettere nuovamente su una categoria tanto importante per la riflessione filosofica – il futuro – che negli ultimi decenni aveva di fatto subito una repentina eclissi. Per un ampio periodo di tempo infatti il futuro ha indicato un preciso orizzonte di aspettativa verso cui indirizzare l’azione dell’uomo nel presente, valorizzando una dimensione utopica, un “principio speranza”, per dirla con il filosofo Ernst Bloch, che prefigurava un mondo avvenire sicuramente migliore di quello in cui ci era stato dato vivere. In questo senso il futuro si è fecondamente intrecciato con un’altra categoria, quella di progresso, declinando di volta in volta, nella sue diverse versioni, liberale o marxista, i temi dello sviluppo e della rivoluzione. Oggi nel mondo globalizzato, esiste solo un presente, diventato oramai egemonico, in grado di far scomparire totalmente il passato e di saturare ogni possibile immaginazione del futuro; un presente perennemente accellerato che riduce in modo esponenziale gli spazi di esperienza e gli orizzonti di aspettativa delle persone riconducibili esclusivamente a quelli del consumo.
E’ possibile, in controtendenza con questi scenari, ipotizzare un “ritorno del futuro”, in grado di ricostruire le condizioni di una nuova prospettiva utopistica o non è più saggio accettare questo inevitabile tramonto, accogliendo il geniale suggerimento di Ennio Flaiano che affermava di fare solo progetti per il passato a causa della sua totale sfiducia per il futuro?

Ragione ed emozione nell’epoca delle passioni tristi

Giovedì 6 giugno alle ore 18.00 presso Le  Scalze alla Salita Pontecorvo 65, per il ciclo “Vieni a prendere un tè alle Scalze. Conversazioni filosofiche per tutti”, avrà luogo l’incontro “Logos ed emoticon. Ragione ed emozioni nell’epoca delle passioni tristi”, a cura del Forum Tarsia e del Coordinamento Le Scalze.

Sorseggiando una tazza di tè discuteremo del ruolo crescente che nel mondo post-moderno le emozioni rivestono sia per l’organizzazione economica della società che per il governo della cosa pubblica:  da tempo le più sofisticate tecniche di vendita dei prodotti si rivolgono in primo luogo alla sfera emotiva del possibile consumatore e, con la nascita dei nuovi populismi digitali,  tale approccio si è esteso in modo preoccupante alla comunicazione politica che sempre meno privilegia le procedure razionali per rivolgersi a quella che, con una discutibile  espressione, è stata definita,   la “pancia” degli elettori.  Oggi il successo di un post nel generare commenti è legato alla capacità di suscitare emozioni di eccitazione, come felicità o rabbia, o di impotenza, come paura e tristezza. Paradossalmente questa maggiore importanza del mondo delle emozioni nasconde nella sua ombra un loro sostanziale impoverimento: le emozioni, semplificate e standardizzate, considerate soprattutto nella loro “passività” e mai nella loro potenza trasformativa, sono ridotte ad emoticon, faccine sempre pronte ad accompagnare i nostri messaggi sui social media,  che di fatto finiscono con l’occultare la profondità,  la complessità e la ricchezza del nostro mondo interiore, ultima paradossale manifestazione di quella “peste emozionale” di cui aveva parlato Wilhelm Reich nel secolo scorso.

Questa apparente rivincita del mondo emozionale va in decisa controtendenza sia con la tradizione del pensiero filosofico antico e moderno che, a partire da Platone, Cartesio e Spinoza, con le dovute eccezioni, non ha mai messo in discussione la superiorità morale e conoscitiva della ragione sull’emozione, sia con lo stesso progetto moderno che ha puntato sull’organizzazione di nazioni costruite su un apparato burocratico e tecnocratico capace di eliminare dai processi decisionali tutte  le variabili originate dal caso e, appunto,  dalle emozioni.

E’ possibile oggi, nell’epoca definita da qualcuno delle “passioni tristi” – in cui a prevalere sono l’odio, la tristezza, la rabbia, il risentimento -,   liberare l’emozione dalla passività a cui le tecniche persuasive del potere, politico, economico e tecnologico, l’hanno ridotta? E’ possibile ancora, al di là del dominio incontrastato che la ragione ha ricoperto nei processi conoscitivi, superare finalmente la scissione tra emozione e ragione per dar vita a quella che da alcuni psicologi e filosofi è stata definita “intelligenza emotiva”, in grado di riconsegnare finalmente ogni singolarità alla propria autonomia e libertà?

Conversazioni filosofiche: umano inumano postumano

Dopo un’ottima tazza di tè accompagnata dai biscottini, ci interrogheremo su come i recenti progressi della scienza – tra cui le applicazioni sempre più frequenti di dispositivi tecnologici al corpo dell’uomo e alla stessa struttura del vivente – ripropongano con urgenza alcuni interrogativi non solo sulla natura dell’uomo – nella sua costitutiva differenza con l’animale – ma anche sul senso che può continuare ad avere una nozione, tanto centrale nella filosofia occidentale, come quella di umanesimo. Già Heidegger nella sua “Lettera” del 1946 aveva messo in evidenza come questa parola acquisisca di fatto sempre meno senso in un mondo interamente dominato dalla tecnica e, non a caso, oggi nuovi sentieri di ricerca ritengono opportuno introdurre nella riflessione un nuovo termine, “post-umanesimo”, utile a individuare quella condizione in cui le frontiere fra ciò che è umano e ciò che non lo è svaniscono e la stessa divisione tra natura e cultura viene superata in una nuova concezione in cui la Tecnica viene considerata come un dato del tutto “naturale”. La figura del cyborg, l’ibrido uomo-macchina uscito dalle pagine più potentemente visionarie della letteratura fantascientifica del ‘900, preannuncia un futuro, che le protesi di nuova generazione, le tecnologie riproduttive, il cibo geneticamente modificato ci dicono già cominciato: sempre più infatti si tende ad affrontare i problemi comportamentali, medici o di invecchiamento esclusivamente attraverso l’ausilio della tecnica. Tale scenario può assumere declinazioni inquietanti nell’ipotesi transumanista, con i suoi preoccupanti tratti superomistici e suprematisti, o più democratiche nel post-umanismo critico, volto invece alla possibile costruzione di una soggettività ibrida situata in una fitta rete di relazioni organiche e inorganiche. Mentre l’economia politica del capitalismo, con la sua centenaria esperienza, si inserisce nei gangli vitali di questo nuovo scenario, per metterlo immediatamente a frutto secondo la logica del profitto, il pensiero è portato a scegliere tra una posizione “di resistenza”, che si limita a difendere il progetto umanista senza tener conto delle profonde trasformazioni che hanno interessato la realtà in quest’ultimo secolo, e una più aperta al nuovo, che ripensando in modo radicale l’idea di “natura umana”, raccoglie la sfida dei tempi, sforzandosi di pensare, su un piano di immanenza, relazioni sempre più strette tra mente e corpo, umanità e tecnica, arrivando a ipotizzare una nuova soggettività post-umana.

 

L’automazione: schiavitù o liberazione?

Sabato 9 marzo alle ore 17.30 alle Scalze_Laboratori di cittadinanza attiva, Salita Pontecorvo 65,  si svolgerà il nuovo incontro di “Vieni a prendere un tè alle Scalze? Conversazioni filosofiche per tutti” che avrà come tema “La questione della Tecnica. L’automazione: schiavitù o liberazione?”.

Sorseggiando una buona tazza di tè, ci interrogheremo su  come l’applicazione dell’Intelligenza artificiale a molti dei dispositivi che quotidianamente utilizziamo e lo sviluppo della robotica umanoide aprano scenari  sempre più inquietanti sul ruolo della Tecnica nella società odierna e sulla possibilità che questa assuma un ruolo dominante rispetto alla centralità dell’uomo che, secondo alcuni autori, diventerebbe ora addirittura “superfluo” o, nei migliori dei casi, “antiquato”. In campo lavorativo, ad esempio, la rivoluzione digitale, e in particolare l’applicazione della robotica, già sta determinando una riduzione sostanziale dell’utilizzo della forza-lavoro umana e la scomparsa di una quantità rilevante di mestieri e professioni. Quando l’intelligenza artificiale avrà resa obsoleta l’intelligenza umana,  ci sarà ancora un posto dell’uomo nel processo lavorativo? E come dovrà essere interpretata, se ci sarà, questa “fine del lavoro”? Come una liberazione che consentirà all’uomo di dedicarsi finalmente ai suoi otia creativi, come ipotizzato dal giovane Marx dei Manoscritti economico-filosofici? O come una promessa di una nuova schiavitù,  come ipotizzato da tanta letteratura distopica del secolo scorso? O forse, più semplicemente, per ora la rivoluzione digitale sta perseguendo un obiettivo, del tutto in linea con il progetto neo-liberistico, di mettere cioè al lavoro anche il  nostro tempo libero, senza alcuna retribuzione salariale, quando nella nostra veste di consumatori, acquistiamo un biglietto aereo, preleviamo denaro da un bancomat, facciamo benzina da un distributore self-service, al posto di un lavoratore di cui non c’è più bisogno. Ancora oggi, di fronte alla complessità di questi problemi, torna a risuonare la domanda che fu posta nel corso del grande dibattito sulla Tecnica nella prima metà del secolo scorso che vide,  come uno dei principali protagonisti,  il filosofo Martin Heidegger: oggi come allora, infatti, non ci chiediamo più che cosa l’uomo può fare con la Tecnica, ma cosa la Tecnica può fare dell’uomo.

Globalizzazione: unica strada? La sfida identitaria e sovranistra

Sabato 1 dicembre 2018 alle 17.30 presso Le Scalze alla Salita Pontecorvo 65 si terrà il nuovo incontro di “Vieni a prendere un tè alle Scalze? Conversazioni filosofiche per tutti” che avrà come tema: “Globalizzazione: unica strada? La sfida identitaria e sovranista”.

Gustando una buona  tazza di tè con  dei biscottini, discuteremo insieme su una categoria fondamentale per la comprensione dei nostri tempi, la globalizzazione, a partire dall’analisi dell’impetuoso cambiamento politico che oggi sta interessando tanti paesi dell’Europa e del mondo. A quasi venti anni di distanza dal movimento no-global, il quadro generale che ci troviamo davanti sembra radicalmente cambiato: a protestare oggi contro gli effetti deleteri della globalizzazione non sono più i movimenti di giovani, gli operai, i forum sociali che, partendo da Seattle (USA),  avevano agitato le piazze dell’Europa e del mondo, ma quei partiti politici populisti e sovranisti che spesso conquistano il consenso dei cittadini, e poi il governo del paese,  in nome della lotta alla speculazione finanziaria internazionale e alle élites mondiali, propongono il ritorno ai confini nazionali, alle piccole e grandi patrie, opponendosi alla libera circolazione delle merci e degli uomini, talvolta  in nome di un  ritorno al protezionismo.

Partendo da questo scenario cercheremo di interrogarci su alcune temi di fondo, chiedendo aiuto ancora una volta alla riflessione filosofica, storica e politica del secolo scorso e di questi ultimi anni.  La globalizzazione è realmente l’unica alternativa che gli abitanti del pianeta si trovano oggi davanti? E’ possibile una critica alla globalizzazione che rifiuti ogni ripiegamento identitario e sovranista per  ricostruire  le condizioni di un progetto emancipatorio e di un nuovo internazionalismo? E infine: come ritornare a pensare le relazioni tra locale e globale, identità e differenza, stato e mercato in termini non antitetici?

Di cosa parliamo quando parliamo di progresso?

Sabato 13 ottobre alle 17.30 presso Le Scalze, alla Salita Pontecorvo 65, riprende, dopo la pausa estiva, il ciclo di Conversazioni filosofiche per tutti, “Vieni a prendere un tè alle Scalze”, organizzato dal Forum Tarsia e dal Coordinamento Le Scalze.

Il primo incontro autunnale avrà come tema “Di cosa parliamo quando parliamo di progresso?”.

Sorseggiando una tazza di tè cercheremo di analizzare una delle parole centrali del nostro lessico quotidiano.  Come scrive il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein:  “La nostra civiltà è caratterizzata dalla parola Progresso. Il progresso è la sua forma, non una delle sue proprietà….”.  Eppure mai concetto, tanto importante, in quanto costitutivo dell’essenza stessa della modernità, è apparso al tempo stesso tanto controverso, oggetto privilegiato di continue puntualizzazioni critiche che ne hanno messo in evidenza impietosamente le aporie e le ambivalenze.  Nella storia della cultura occidentale, ogni movimento orientato verso un futuro che si suppone migliore del suo punto di partenza, è sempre stato accompagnato da una controspinta, da un ripiegamento nostalgico verso il passato, verso un mondo perduto che va irrimediabilmente dileguandosi. Come ha scritto Jacques Bouveresse “c’è sempre nel progresso qualcosa che avanza e insieme retrocede, e anche chi si sente in dovere di credere nel progresso non riesce mai a decidere davvero se ciò che prevale sia l’avanzamento o l’arretramento”.

La domanda che cercheremo di porci nel corso dell’incontro è se esista realmente qualcosa che possa definirsi progresso. Soprattutto dopo il secolo di Auschwitz e Hiroshima, dei massacri di massa e delle pulizie etniche, della devastazione ambientale e dell’esaurimento delle risorse del pianeta. E se esiste veramente qualcosa che procede verso una direzione migliore, in cosa consiste tale miglioramento? Si tratta di un mero accrescimento quantitativo o piuttosto di un mutamento qualitativo? E ancora: a chi può essere ascritto tale progresso? Al singolo individuo, alla società, a una nazione in particolare o all’umanità intera? Infine: può essere considerato progresso quello che oggi appare una semplice accelerazione e velocizzazione delle operazioni del vivere quotidiano determinate dallo sviluppo della Tecnica?

Dialettiche del desiderio a partire dal ’68

Giovedì 24 maggio alle ore 18.00 alle Scalze, Salita Pontecorvo 65,  ci sarà il terzo incontro di “Vieni a prendere un tè alle Scalze? Conversazioni filosofiche per tutti”, organizzato dal Forum Tarsia e dal Coordinamento Le Scalze. Questa volta, in occasione del cinquantenario del ’68, abbiamo scelto di discutere sulle  “Dialettiche del desiderio a partire dal ‘68”.

Sorseggiando una tazza di tè, proveremo a interrogarci in modo non accademico e provocando una discussione il più possibile partecipata,  sull’eredità che ci ha consegnato il grande movimento di mezzo secolo fa,  che è sicuramente l’ultima e più radicale messa in discussione della società in cui ci troviamo a vivere: il capitalismo.  E’  questo il lascito più grande, e tanto “inattuale”,   a cui  vogliamo rendere omaggio ancora una volta. Così come vogliamo ricordare come questo movimento sia stato all’origine della produzione di nuove forme di vita e di straordinari processi di soggettivazione che hanno determinato, nel bene e nel male,   alcuni aspetti rilevanti del  modello di società che si è imposto nell’ultimo mezzo secolo.  Molte istanze presenti nel ’68, come quelle inerenti all’antiautoritarismo e alla liberazione del desiderio, nel corso degli anni, hanno preso direzioni inaspettate, intrecciandosi talvolta con quell’ingiunzione a godere e a consumare che è diventato il tratto caratteristico dell’odierno neoliberismo. Partendo dal dibattito tra Foucault e Deleuze su piacere e  desiderio, torneremo a interrogarci perciò sulla possibilità di liberare il desiderio da questo abbraccio mortale per riconsegnarlo a un progetto radicale di trasformazione della società.