Conversazioni filosofiche: umano inumano postumano

Dopo un’ottima tazza di tè accompagnata dai biscottini, ci interrogheremo su come i recenti progressi della scienza – tra cui le applicazioni sempre più frequenti di dispositivi tecnologici al corpo dell’uomo e alla stessa struttura del vivente – ripropongano con urgenza alcuni interrogativi non solo sulla natura dell’uomo – nella sua costitutiva differenza con l’animale – ma anche sul senso che può continuare ad avere una nozione, tanto centrale nella filosofia occidentale, come quella di umanesimo. Già Heidegger nella sua “Lettera” del 1946 aveva messo in evidenza come questa parola acquisisca di fatto sempre meno senso in un mondo interamente dominato dalla tecnica e, non a caso, oggi nuovi sentieri di ricerca ritengono opportuno introdurre nella riflessione un nuovo termine, “post-umanesimo”, utile a individuare quella condizione in cui le frontiere fra ciò che è umano e ciò che non lo è svaniscono e la stessa divisione tra natura e cultura viene superata in una nuova concezione in cui la Tecnica viene considerata come un dato del tutto “naturale”. La figura del cyborg, l’ibrido uomo-macchina uscito dalle pagine più potentemente visionarie della letteratura fantascientifica del ‘900, preannuncia un futuro, che le protesi di nuova generazione, le tecnologie riproduttive, il cibo geneticamente modificato ci dicono già cominciato: sempre più infatti si tende ad affrontare i problemi comportamentali, medici o di invecchiamento esclusivamente attraverso l’ausilio della tecnica. Tale scenario può assumere declinazioni inquietanti nell’ipotesi transumanista, con i suoi preoccupanti tratti superomistici e suprematisti, o più democratiche nel post-umanismo critico, volto invece alla possibile costruzione di una soggettività ibrida situata in una fitta rete di relazioni organiche e inorganiche. Mentre l’economia politica del capitalismo, con la sua centenaria esperienza, si inserisce nei gangli vitali di questo nuovo scenario, per metterlo immediatamente a frutto secondo la logica del profitto, il pensiero è portato a scegliere tra una posizione “di resistenza”, che si limita a difendere il progetto umanista senza tener conto delle profonde trasformazioni che hanno interessato la realtà in quest’ultimo secolo, e una più aperta al nuovo, che ripensando in modo radicale l’idea di “natura umana”, raccoglie la sfida dei tempi, sforzandosi di pensare, su un piano di immanenza, relazioni sempre più strette tra mente e corpo, umanità e tecnica, arrivando a ipotizzare una nuova soggettività post-umana.

 

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